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Una mini scossa per rallentare la sla

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ROMA – Speranza per i malati di sclerosi laterale amiotrofica potrebbe arrivare dai risultati di due studi preliminari. I lavori, condotti dai neurologi dell’Università Campus BioMedico sotto la guida di Vincenzo Di Lazzaro – responsabile dell’Unità di Ricerca di neurologia, neurofisiologia e neurobiologia – sono stati di recente pubblicati sulla rivista scientifica ‘Brain Stimulation’ e hanno dimostrato una lieve riduzione nella velocità di progressione della malattia in pazienti trattati con tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva. A oggi, purtroppo, ricorda il Campus BioMedico, non sono disponibili terapie in grado di rallentare significativamente la progressione della sclerosi laterale amiotrofica, grave malattia neurodegenerativa, famosa perché annovera tra le vittime un numero significativo di calciatori professionisti. Uno dei meccanismi che sembra avere un ruolo fondamentale nel processo degenerativo è un eccesso di glutammato, un neurotrasmettitore che normalmente permette la comunicazione tra i neuroni, ma che al di sopra di una certa soglia di attività risulta tossico. Tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva che utilizzano campi elettromagnetici possono ridurre proprio la risposta dei neuroni al glutammato e quindi sono potenzialmente in grado di limitarne la tossicità. Le prime sperimentazioni sull’uso delle tecniche di stimolazione transcranica per il trattamento di pazienti con sclerosi laterale amiotrofica hanno avuto inizio molti anni fa. Il primo studio, pubblicato dal gruppo di Di Lazzaro nel lontano 2004, era stato condotto su un numero limitato di pazienti che venivano sottoposti al trattamento una settimana al mese, e avevano ottenuto una lievissima riduzione nella velocità di progressione della malattia. Nel nuovo studio la durata del trattamento è stata raddoppiata ed è stata osservata una ancora lieve, ma più significativa riduzione di progressione di malattia. (segue) (Mal/AdnKronos) ISSN 2465 – 1222 22-GIU-17 16:00 NNNN

Tuttavia l’osservazione che dà maggiori speranze è stata effettuata in un singolo paziente trattato in maniera innovativa. In quest’ultimo, è stato infatti effettuato l’impianto di un elettrodo sulla superficie del cervello, in corrispondenza dell’area responsabile del movimento e collegato a un ‘pace-maker’ in grado di modulare l’eccitabilità cerebrale in maniera continuativa. Il paziente trattato è un medico, che con grande generosità ha deciso di partecipare a questa sperimentazione, più invasiva e quindi più rischiosa, con risultati imprevedibili. “Per quanto una singola osservazione abbia un valore molto limitato nel valutare l’efficacia di nuove terapie, per cui è richiesta la dimostrazione degli effetti positivi in grandi numeri di pazienti – spiega Di Lazzaro – i risultati di questo studio, pubblicato ancora su ‘Brain Stimulation’, appaiono alquanto sorprendenti. Il medico aveva cominciato a presentare i primi sintomi nel 2004, all’età di 56 anni; prima dell’inizio della stimolazione la malattia aveva una progressione talmente rapida da far prevedere una sopravvivenza non superiore a tre anni”. “L’impianto dell’elettrodo corticale è stato effettuato nel 2006 dai neurochirurghi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo un periodo prolungato di stimolazione, si è osservata una netta riduzione della progressione di malattia con un peggioramento che, pur non essendosi arrestato, è stato estremamente più lento di quanto fosse prevedibile. Oggi, a distanza di 13 anni dall’inizio della malattia – conclude Di Lazzaro – il medico è ancora in vita, pur necessitando di ventilazione assistita”.

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