Inutile nascondere che la domanda di beni di qualsiasi genere è cresciuto esponenzialmente con la ripresa post lockdown. Un processo inaspettato, ora sotto gli occhi di tutti che ha avuto forti ricadute sulla produzione e sulla logistica
In questo modo, la crescita della domanda, attuale e prevista, ha letteralmente prosciugato le scorte in magazzino di qualunque fornitore di materie prime, semilavorati o componenti. E questo sta avvenendo in tutti i settori produttivi, nessuno escluso. E chi produce ha ovviamente dovuto ordinare componenti e materie prime in gran quantità: non solo quella necessaria a sostenere la domanda di oggi, ma anche per quella che verosimilmente caratterizzerà i prossimi mesi, in cui la prospettiva di avere maggiori libertà dovrebbe far crescere ancora di più i consumi.
Oggi scarseggia un po’ tutto: il rame, l’alluminio, la carta, l’acciaio e di conseguenza per acquistare tantissimi prodotti finiti le attese si sono allungate a dismisura. Pensiamo solo che si può attendere anche 1 anno mezzo per entrare in possesso di un’auto nuova e attendere altrettanto tempo per ottenere la seconda chiave di accensione. Non è così strano tutto ciò, se pensiamo che il lockdown ha di fatto immobilizzato per mesi la catena di produzione e di distribuzione, alimentando un’insoddisfazione generalizzata delle richieste e un rincaro dei costi che non ha eguali nella storia economica del Paese. Insomma il mondo è paradossalmente a corto di tutto.
La penuria dei semiconduttori conseguente all’esplosione della domanda di dispositivi elettronici richiesti per lo smart working e per la produzione incessante di auto elettriche è una delle tante facce di una situazione evidente. Vetture che proprio per la loro innovativa configurazione, oltre all’uso di vari metalli dichiarati rari, necessitano di un numero considerevole di semiconduttori e microchip rispetto alle auto tradizionali.
Pensiamo che prima di questa crisi pandemica, proprio le industrie dei microchip, lavoravano secondo il principio del just-in-time, il modello gestionale introdotto negli anni ’50 dal fondatore della Toyota, che ha la finalità di minimizzare le scorte in magazzino per contenere i costi di gestione e aumentare la qualità finale del prodotto.
Un fenomeno che poco a poco ha coinvolto altri segmenti di mercato con effetti che sono sotto gli occhi di tutti.
Tuttavia l’aumento della domanda non è l’unico fattore decisivo per la carenza di scorte. Nell’equazione rientrano ad esempio alcuni eventi – decisamente singolari e imponderabili – accaduti negli ultimi mesi.
Uno di questi è certamente l’incidente avvenuto a marzo nel Canale di Suez che ha di fatto generato ritardi a livello mondiale nella consegna di merci. Ritardi che si sono trascinati per mesi, tant’è che ora si parla di allargamento di questo canale, uno dei più importanti per il trasporto delle merci.
Insomma, siamo di fronte a una nuova crisi epidemica che riguarda la crisi energetica sommata a quella delle materie prime. Alcuni economisti l’hanno definita una “tempesta perfetta”, perché questa situazione sta mettendo a dura prova le filiere di produzione con conseguenze difficili per il fruitore finale.
La situazione non è passata inosservata dalle istituzioni dei Paesi Europei che continuano a stilare rapporti sulle principali materie prime oggetti di aumenti superiori all’8%.
Un rapporto recente è stato stilato dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (MIMS) lo scorso novembre, inerente agli aumenti registrati nel primo semestre del 2021. Numeri e percentuali che alla data di oggi sono ulteriormente aumentati.