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Museo delle Muse. A Trento la conoscenza è di casa

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Intervista esclusiva di Labozeta al direttore Michele Lanzinger, alla guida  di uno dei primi 10 musei più visitati d’Italia

ROMA – Nel 2013, in occasione dell’apertura al pubblico del Muse Museo delle Scienze di Trento, Michele Lanzinger diceva che avrebbe cercato di fare un buon lavoro. Direi che questa previsione è stata azzeccata in pieno. Anzi, i risultati hanno superato ogni aspettativa. Non a caso il Muse con i suoi oltre 500 mila visitatori all’anno si attesta tra i primi 10 musei d’Italia.

Oggi a distanza di quasi 4 anni possiamo dire che questa prima sfida è stata vinta?

Possiamo senz’altro dirci soddisfatti. Il nostro obiettivo era realizzare un museo che mettesse in valore l’importante esperienza in termini di ricerche scientifiche e di attività per il pubblico, nonché la professionalità del team di ricercatori e di “interpreti della scienza” che avevamo sviluppato dagli anni ’90 in poi operando nel precedente Museo Tridentino di Scienze Naturali. Si trattava di un tradizionale piccolo museo naturalistico collocato nel centro storico di Trento, ma è da lì che è partito il nostro nuovo modo di intendere la museologia naturalistica ed è dai risultati di allora che la Provincia Autonoma di Trento decise di proporci la nuova sfida del Muse: inventare una versione inedita di museo scientifico capace di tenere assieme il rigore della ricerca scientifica, la capacità di includere la cittadinanza, il brand per diventare attrattivi anche a livello turistico.   

Il Muse è annoverato come un vero e proprio luogo di condivisione del sapere e delle scoperte scientifiche, ma anche delle ricerche che inevitabilmente creano quel valore aggiunto inestimabile. Una di queste ricerche la stanno portando avanti due vostri ricercatori sull’estinzione dei primati. Quanto è importante per voi stimolare la sensibilità e la consapevolezza su questi temi di grande attualità come la biodiversità? 

Ritengo che uno degli aspetti che costituiscono l’eccellenza del nostro operare sia proprio il fatto che il museo è innanzitutto un luogo di ricerca. Questo ci permette di sviluppare un asset  di produzione scientifica significativo in quanto tale, vale a dire come nel caso qui ricordato, la capacità di far parte di team internazionali che studiano a livello globale il declino di classi di mammiferi così importanti e affini a noi come i primati, così come la possibilità di declinare questa conoscenza scientifica- “di prima mano” – in qualificati e originali percorsi di mediazione culturale. Siano essi percorsi educativi per le scuole o iniziative quali il teatro scientifico, le mostre temporanee, gli “Science Show” …, nella progettazione di tutte queste iniziative i nostri ricercatori sono sempre presenti con la loro voce autorevole.

Ci spiega come sono organizzati i vostri  laboratori e quanto incidono in un contesto complesso e articolato come il vostro? 

Per quanto detto, i laboratori hanno un ruolo fondamentale per sostenere le attività di ricerca. “Un primo set di laboratori è dedicato alle scienze naturali, altri  più avanzati dedicati alla ricerca tassonomica e naturalistica in cui la componente molecolare è rilevante.  Piace segnalare che i laboratori di ricerca fanno parte del dialogo che il museo intrattiene con i suoi visitatori. Essi fanno parte, a pieno titolo, degli spazi visitabili da parte del pubblico. Un po’ dei “ricercatori in vetrina”, dicono i miei collaboratori con un po’ di graditissima ironia: con i ricercatori al posto dei nostri esemplari imbalsamati!

In verità anche i nostri ricercatori sono molto contenti di poter contribuire al gradimento che il pubblico esprime per il nostro museo, dal momento che nel percorso di visita si può essere aggiornati sulle ricerche in corso e apprendere direttamente dai ricercatori  come stanno dedicando il loro impegno nel gruppo tassonomico a questo o quell’ambiente naturale. Tengo a precisare che abbiamo degli orari fissi in cui i visitatori possono affacciarsi o entrare in porzioni “sicure” di laboratorio e interagire in prima persona con i ricercatori all’opera.

Questo museo della Scienza, la cui struttura è stata realizzata da Renzo Piano, mette a disposizione del visitatore elementi importantissimi come l’osservazione, l’approfondimento scientifico e soprattutto la condivisione. Insomma un insieme di componenti che fanno di questo luogo un’eccellenza del Paese. Possiamo quindi affermare con convinzione che il Muse oggi rappresenta un centro nevralgico della cultura e del sapere e non solo nel Trentino. Quali sono le sfide future e quali obiettivi per mantenere questo primato…

I musei della scienza, al pari dei musei di altro tipo, sono di fronte a una grande sfida: essere significativi per i loro pubblici. Per essere questo devono trovare la loro strada per integrarsi con le loro comunità ed offrire dei servizi culturali significativi, non per loro stessi ma per la loro comunità appunto. Come Muse noi vogliamo inserirci in un quadro di valori orientato alla sostenibilità. Crediamo infatti che i fattori culturali sono alla base delle scelte delle comunità, allora il nostro contributo in termini di conoscenza e consapevolezza è il fattore significativo e incidente del nostro operare. Promuovere valori attenti alla conservazione ambientale e alla conservazione della biodiversità hanno impatti infatti sulla qualità della vita dei cittadini, sulla qualità ambientale in quanto tale e infine, sono orientativi verso economie di sostenibilità ambientale quanto mai necessarie in questa fase dai cambiamenti climatici accelerati. Insomma, stiamo ritrovando e applicando un motto ambientalista che ci ha orientato fin dall’avvio della progettazione del Muse: pensa globalmente e agisci localmente. Forse è il modo più sintetico per esprimere il nostro modo di pensare e di fare.

A cura di Alessandro Ambrosin – Ufficio Stampa Labozeta

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