Un nuovo progetto di ricerca scientifica. Intervista esclusiva di Labozeta al professore Giuseppe Ciccarella, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali dell’Università del Salento
ROMA – Contrastare la Xylella fastidiosa. E’ questa la parola d’ordine contro questa piaga ambientale su cui si combatte da tempo per evitare che questo batterio continui la sua mortale diffusione. E la Puglia con i suoi 60 milioni di ulivi e una produzione di 7 milioni di quintali all’anno di olio rischia di dover pagare un prezzo davvero alto, sia in termini ambientali che economici, se non verrà trovata una cura che possa debellare definitivamente questo germe infettivo, che viene veicolato e inoculato direttamente nelle piante da un insetto vettore, la cosiddetta sputacchina, una cicalina che ha un definito ciclo vitale in cui si rende pericolosissima.
Per il momento, una cura efficace e definitiva non esiste, ma è dalla ricerca scientifica che stanno arrivando nuovi risultati che fanno sperare in positivo, come quella che sta sperimentando nei laboratori del professore Giuseppe Ciccarella, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali dell’Università del Salento.
Professore la sua ricerca di contrasto arriva proprio dalle nanotecnologie applicate. Ci può spiegare a grandi linee in cosa consiste?
La ricerca è stata sovvenzionata dalla Regione Puglia e riguarda la messa a punto di un trattamento endoterapico.
Nelle piante colpite dalla Xylella vengono iniettate delle nanoparticelle ingegnerizzate che possono rilasciare nel tempo un principio attivo fitoterapico. Il lento rilascio serve a proteggere gli ulivi nel tempo dagli inoculi di batteri da parte dell’insetto vettore.
La sputacchina infatti veicola i batteri per un periodo limitato di tempo corrispondente ai mesi più caldi dell’anno. Parliamo quindi di un vero e proprio trattamento fitoterapico che se prolungato per lo stesso tempo di vita dell’insetto vettore, può proteggere efficacemente la pianta colpita nel periodo cosiddetto a rischio.
I nano vettori, (per dare un’idea dell’ordine di grandezza si pensi a un millesimo del diametro di un capello umano), grazie alla loro microscopica dimensione, possono tranquillamente viaggiare in tutti i vasi della pianta (gli xilemi), rilasciando lentamente nel tempo il principio farmacologico. In questo modo siamo in grado di proteggere la pianta per tutto il ciclo vitale della sputacchina. Una strategia che se efficace darebbe una svolta positiva al caso Xylella.
Avete già dei riscontri positivi nel merito?
Noi stiamo lavorando su colonie batteriche in vitro, ma abbiamo avuto già degli importanti risultati, dimostrando che le nanoparticelle elaborate possono essere specifiche e quindi aggredire selettivamente il batterio senza intaccare la pianta. Una elevata specificità di azione permetterebbe, tra l’altro l’uso di farmaci in dosaggio bassissimo. D’altra parte questa è anche una delle la sfide della farmacologia per l’uomo: rendere sempre più selettivi i farmaci verso gli organi da curare, senza che essi agiscano su organi o tessuti sani. Con la stessa filosofia noi agiamo sul fronte Xylella.
L’abbassamento delle temperature di questo periodo ha avuto delle ricadute positive?
Sì, il freddo può inibire rallentare al crescita di questi batteri in quanto essi provengono dal Costa Rica un paese situato nella fascia climatica tropicale, ma nessuno scienziato affermerebbe con estrema convinzione che il fenomeno possa essere debellato dalle recenti ondate di freddo, occorrerebbero dei mutamenti climatici molto più radicali con climi tipici del nord Europa. La Xylella fastidiosa è ormai radicata nel territorio e difficilmente potrà essere debellata definitivamente. Inoltre, essendo una specie batterica non vincolata strettamente all’ulivo, ha già attaccato altre specie tra cui l’oleandro, il ciliegio, il mandorlo ed anche piante ornamentali.
Tuttavia, avere un rimedio fitofarmaco che possa agire in maniera sostenibile con un basso impatto ambientale, senza far uso di pesticidi, con una tecnologia a lento rilascio e a basso costo potrebbe aiutare a contenere efficacemente il fenomeno. Questo è il nostro obiettivo.
Quanto tempo sarò necessario prima di avere un risultato tangibile?
Il tempo è una variabile difficile da controllare. Molto dipende dai finanziamenti e dai tempi della burocrazia. Diciamo che abbiamo raggiunto un tale livello che quest’anno passeremo alla sperimentazione in pianta.
Nel 2014 è stato approvato il progetto dalla Regione Puglia, nel 2015 abbiamo avviato le prime sperimentazioni in collaborazione con i colleghi fitopatologi del CNR IPSP e dell’Università di Bari, nel 2016 siamo arrivati a capire che le nano particelle non solo potevano avere un effetto incisivo, ma abbiamo capito come meglio indirizzarle verso il batterio. Ora, nel 2017 speriamo arrivino i risultati nelle piante modello cioè piante “cavia” da laboratorio, che ci permettono di verificare “in vivo” gli effetti dei trattamenti con i nano-agrofarmaci in modo da poter fare valutazioni più accurate. Se tutto andrà bene nell’arco di qualche anno arriveremo anche alla sperimentazione in campo. Almeno questo è l’obiettivo su cui si concentrano i nostri sforzi.
A cura di Alessandro Ambrosin – Ufficio Stampa Labozeta